Se cambiamo l’ordine dei fattori, il risultato cambia

Se cambiamo l’ordine dei fattori, il risultato cambia. Eccome. Siamo a quasi una settimana dall’esito del voto e all’inizio di una fase delicata per il nostro Partito Democratico. Ho atteso un po’ prima di condividere con voi alcune riflessioni. Credo questo sia il momento di lasciare da parte le reazioni a caldo che potrebbero appunto indicare scorciatoie più che strade lunghe e, perché no, faticose, ma penso che siano questi sentieri difficili, solo questi, che possano davvero invertire la rotta per il Pd. Ha ragione Enrico Letta quando afferma che “il Pd, per sua stessa natura, deve essere un partito espansivo e largo. Se manca questa aspirazione entra in crisi la sua ragione d’essere. Per questo dobbiamo essere pronti a rimettere tutto in discussione. Ora possiamo farlo, dopo potrebbe essere troppo tardi”.

Penso infatti che siamo davanti a una vera e propria fase di nuova fondazione del Partito Democratico, come hanno già detto molti altri . E proprio per questo, l’ultimo passo, il passo falso, è proprio partire dai nomi dei possibili vertici invece che discutere dal basso sulle politiche e le idee che ci ispirano. La nuova fondazione del Pd parte proprio dalle fondamenta: dalle donne e dagli uomini, dai progetti e dai territori. Poi, si può iniziare a salire per arrivare in cima. Il principale partito che appartiene alla famiglia dei Democratici e Socialisti europei non può continuare a sopportare la narrazione che le forze progressiste e sociali siano altrove. Ma nello stesso tempo dobbiamo dimostrare le parole coi fatti. “Quel che vi propongo è di accettare di entrare in profondità nei problemi per risolvere i nodi che ci bloccano e poi, a partire da questo sforzo genuino e determinato, di scegliere insieme la nuova leadership e il nuovo gruppo dirigente”, ha scritto Letta agli iscritti. Credo che questa sfida vada accolta.

Partiamo dall’idea di scuola, diritti, lavoro, società, welfare e iniziamo un confronto con le comunità che le vivono e che non vogliono più un approccio paternalistico e coloniale di soluzioni calate dall’alto, ma occorre coinvolgimento, anche affrontando tutti i rischi che questo comporta. Perché quando si apre alla comunità, l’ascolto può anche diventare un’esperienza difficile e spigolosa. Ma è necessaria.
Il partito democratico può ripartire dai circoli, dai paesi, dai quartieri. Lì dobbiamo nuovamente muovere i primi passi, senza deleghe e senza scorciatoie. Così capiremo anche quanto fiato abbiamo e chi potrà costruire con noi il Pd che ci aspetta e che ci sta a cuore.

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